A quattro anni dalla scomparsa del pibe de oro una riflessione sul mito che è stato e ciò che rappresenta per gli ultimi della Terra.
di Giuliano Pedicini
* Murales apparso sul muro esterno del centro sportivo Paradiso pochi giorni dopo la scomparsa di Diego. Il murales è stato realizzato dall’artista Mario Casti.
Appassionato e critico osservatore dello sport come metafora dell’esistenza e come chiave di lettura del presente.
HASTA SIEMPRE D1OS
Caro Diego, qualche giorno fa lavoravo al computer e ascoltavo in sottofondo, come faccio spesso, qualche canzone del professor Guccini. Ad un certo punto arriva Stagioni e inaspettatamente mi vengo i brividi: Il terzo mondo piange, ognuno adesso sa che «Che» Guevara è morto, forse non tornerà. Ma voi reazionari tremate, non sono finite le rivoluzioni e voi, a decine, che usate parole diverse, le stesse prigioni; da qualche parte un giorno, dove non si saprà, dove non l’aspettate, il «Che» ritornerà.
Caro Diego, è stato un tuffo nel passato; mi sono tornati alla memoria, gli anni ‘70, le lotte e i cortei, la sinistra perduta, i ricchi e i poveri, la coerenza, i sogni traditi, a quanti ci hanno creduto e ai tanti che si sono venduti e mi sono chiesto se mai veramente il «Che» sarebbe potuto ritornare. Ed è stato un fulmine, un attimo: c’era qualcuno, certo unico, nel quale avrebbe potuto reincarnarsi il grande condottiero argentino. Questo messia era anch’egli argentino, partito dalla povertà più nera aveva attraversato prima l’America e poi l’oceano con un pallone attaccato al piede, il sinistro, per arrivare in una città-mondo dove a capo di un manipolo di guerriglieri aveva sfidato, combattuto e vinto un potere secolare.
Aveva riscattato la vita, l’esistenza di migliaia di masanielli come lui, dicendo «no!» a chi vinceva sempre, sfidandolo e sconfiggendolo alla testa di chi perdeva sempre. E di quella città aveva attraversato le viscere, congiungendosi ad essa, con essa, corporalmente, spiritualmente in un’orgia dionisiaca. Caduto un’infinità di volte e sempre capace di rialzarsi, da solo, con dignità ed umanità. Uomo con anima in un mondo di sciacalli.
Sono già quattro gli anni da quando ci hai lasciato, caro Diego, e posso dire con piena consapevolezza che ti ho amato; ti ho amato sì per quello che ci hai dato in un campo di calcio, sia che fosse il San Paolo sia la terra battuta del campetto fangoso di Acerra, ma là, in quel rettangolo di gioco tu eri il calcio, eri il Dio del pallone perciò ti era naturale fare quello che facevi.
Sfidavi anche là le regole, in quel caso della fisica. Sì ti ho amato per tutto questo, ma con altrettanta consapevolezza ti dico, caro Diego, che ti ho amato per tutti i «no!» cha hai saputo dire a Berlusconi, Agnelli, Havelange, Blatter, la Fifa, gli Yankees, ai ricchi e ai padroni di ogni latitudine, restando sempre lo stesso, restando sempre umano. Ed anch’io, anonimo passeggero di questa vita, dirò per sempre che sì, è vero, mi è battuto, mi batte e mi batterà il corazon perché ho visto Maradona. Ciao Diego, hasta siempre comandante!
2 risposte su “Lettera a Diego”
Una toccante commemorazione del grande Diego. Bellissima!
Ho amato e ammirato Maradona, anche io, per la sua umana stravaganza, ma anche perché è stato l’unico calciatore a saper applicare effetto Magnus e moto parabolico in un solo tiro!!