Da Paestum, Elea (Velia), Sapri fino alla penisola sorrentina una mappa con le scoperte archeologiche legate al mondo delle terme: prova dell’antica cultura delle terme sin dai tempi della Magna Grecia. Il fiume Sele era considerato quasi una divinità dalle civiltà greche e romane perché si riteneva possedesse proprietà magiche.
di Antonio Capano
* “Le terme di Caracalla”, Lawrence Alma Tadema.
Laureato in Lettere classiche, specializzato in archeologia e saggista è referente per il Cilento della Società Salernitana di Storia Patria.
UN VIAGGIO NEL PERIODO ROMANO ALLA RICERCA DEI RESTI DELLE TERME
Nel corso dei secoli numerosi furono i popoli che coltivarono uno stretto rapporto con l’acqua termale le cui virtù terapeutiche erano conosciute sin dall’antico Egitto. Il benessere curativo delle terme e delle loro acque iniziò a diffondersi intorno al V secolo a.C. nella Grecia classica. Il medico greco Ippocrate di Kos, considerato il padre della medicina, fu tra i primi a esaltarne le caratteristiche e le qualità terapeutiche, nel primo trattato della storia della medicina a lui attribuito, il Corpus Hippocraticum.
Se ne fece abbondante uso in età ellenistica (v. Elea/Velia), ma nell’antica civiltà romana l’acqua divenne elemento centrale della cultura: si diffuse l’uso dei bagni privati e pubblici e vennero costruiti veri e propri bagni pubblici e terme, serviti da imponenti acquedotti. Tito Livio nella sua opera Ab urbe condita libri scrive che il console Gneo Cornelio Scipione Ispallo nel 178 a.C, si recò alle Aquae cumanae per curare con le acque termali una forma di artrite. Secondo le prescrizioni mediche del tempo a Baia si praticavano bagni di sudore, in ambienti ricavati nella roccia (i laconica) e riscaldati da vapori naturali, per espellere gli umori della malattia; successivamente ci si immergeva nelle acque termominerali.
L’origine naturale del calore differenziava le terme flegree dalle terme presenti a Roma ed in altre aree in cui il calore era procurato dalla combustione del legno, soprattutto delle conifere. Nell’area flegrea i vapori captati dal sottosuolo venivano convogliati attraverso canalizzazioni sotterranee e irradiati negli ambienti attraverso intercapedini poste al di sotto dei pavimenti (hypocausta) e alle pareti (concameratio): sistema di diffusione del calore, già conosciuto dai Greci ed applicato in ambito termale dal ricco imprenditore Gaio Sergio Orata (Lucrino, 140 a.C. circa – 91 a.C. circa) al quale si deve anche la realizzazione nel lago di Lucrino di impianti di acquacoltura per l’allevamento di ostriche.
La realizzazione dei primi stabilimenti termali risale al I secolo a.C. a opera dell’architetto Marco Vipsanio Agrippa (Arpino, 63 a.C. circa – Campania antica, 12 a.C.) durante l’impero di Ottaviano Augusto; l’architetto Marco Vitruvio Pollione (Formia, 80 a.C. circa – dopo il 15 a.C. circa), descriveva i Campi flegrei come terre ardenti ricche di sorgenti dotate di qualità terapeutiche e medicamentose, seguito da Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia.
Presso i Romani le terme erano un luogo di igiene ma anche di piacere, di conversazione e di incontro, per svagarsi, praticare attività ginnica, discutere, incontrarsi, trattare affari, assistere ad esibizioni musicali, ascoltare conferenze, praticare cioè l’otium (inteso dai Romani come attività intellettuale e non come una perdita di tempo). Le sorgenti termali nell’area flegrea, già conosciute e apprezzate in età repubblicana, dettero origine in età imperiale alla costruzione di imponenti complessi termali, che assunsero il nome di terme (dall’aggettivo greco τερμοσ, caldo) in sostituzione del termine balnea (bagni pubblici) in contrapposizione a balneum (bagno privato).
Le Terme di Baia furono la meta preferita da Augusto e successivamente da altri imperatori, furono citate da Orazio nelle Epistulae, mentre nell’Ars amatoria di Ovidio si legge che da Baia si tornava sani per le cure termali e malati per le ferite d’amore.
Il fiume Sele era considerato quasi una divinità dalle civiltà greche e romane perché si riteneva possedesse proprietà magiche: Aristotele, e successivamente Strabone, Plinio e Silio Italico, affermavano che qualunque oggetto cadesse nelle sue acque si trasformava in pietra. In effetti, l’immissione di acque sulfuree e calcaree all’altezza di Contursi Terme determina la deposizione di sali di zolfo e carbonato sugli oggetti, dando luogo a fenomeni di mineralizzazione. La divinità Mefite era associata alle acque sulfuree, confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti.
Quanto a Sapri, l’Antonini (Lucania. Discorsi, Napoli 1795, p. 432), visitando i resti della villa romana nell’attuale località S. Croce, notava: «Alla punta di questo ambulacro trovasi una altro rovinato edifizio circolare attaccato ad uno di forma quadra, che parvemi fosse stato già un bagno, perché vi s’imboccava uno degli acquedotti, ed era altresì con molte divisioni, benchè appena se ne possono distinguer sette; e perché sono ancora lì presso due gran conserve da tener acqua, onde si potea far uso alle terme».
Ad Elea/Velia il complesso termale nel Quartiere meridionale, ubicato lungo la sponda Sud-Est del fiume Hyele, su una delle terrazze che fiancheggia il cosiddetto “Vallone del Frittolo”, presenta una «pianta all’incirca rettangolare, misurante m 30×17. Si individuano circa dieci vani suddivisi fra un’area ricettiva ed un’area di servizio. In particolare vi sono un portico lungo la facciata Sud, un accesso presso angolo Sud-Ovest, il vestibolo nell’area Nord-Ovest che consentiva l’ingresso all’apoditerio (pavimentazione ad esagonette, poggianti su una preparazione in mattoni velini, e decorazione in stucco dipinto sulle pareti), un vano di metri 6.75 × 5.50, con tholos del diametro di m 3.70, alimentato da tubuli in terracotta e rivestiti in piombo, un vano di pianta rettangolare di m 11.75×8.25 e nella parte centrale dell’edificio una vasca a schienale. Nel settore Nord-Est, rimane parte di un sostegno circolare in arenaria pertinente ad un louterion, per le abluzioni d’acqua fredda (metà III – prima metà del II sec. a.C.); nella seconda metà del II sec. a.C. vi fu il progressivo abbandono e conseguenti fasi di spoliazione (fine del II/ I sec. a.C.).
Le Terme del Vignale nel Quartiere orientale sono datate nella seconda metà del I sec. a. C., con tre seguenti fasi di riorganizzazione fino al II sec. d.C., senza escludere una fase tardoantica attestata nell’area circostante, consistono in una serie di ambienti principali, affiancati con andamento Est-Ovest, di forma quadrangolare. Da un vestibolo quadrangolare si accedeva ad un apodyterium e alla classica sequenza di ambienti termali, frigidarium, tepidarium e calidarium, con piscinae calidae che presentano una coibentazione, per la zona più antica, di tegulae mammatae mentre la più recente era foderata con tubuli. In una terza fase edilizia collocabile intorno alla metà del II sec. d.C., viene impiantato un grande bacino, riscaldato da due livelli.
Nell’Isolato meridionale dell’antico abitato di Paestum è stato scoperto un complesso termale del quale sono stati identificati due ambienti riscaldati, tre praefurnia, una vasca di piccole dimensioni ed una latrina; accessibile dall’asse stradale posto ad Ovest dell’isolato, si articola in una serie di vani addossati al muro di fondo occidentale dell’isolato. Sono state riconosciute almeno due fasi edilizie cui appartiene un ninfeo pavimentato con un rivestimento in cementizio a base fittile (inserti esagonali posti su filari paralleli). Lungo uno dei lati si trova una nicchia a pianta rettangolare dotata della medesima pavimentazione e preceduta da una tabula ansata a mosaico con iscrizione (L. Caelius Hymetus Aug. iter. s. p. f.), relativa all’autore di alcuni rifacimenti edilizi. In base ai dati epigrafici è possibile datare la pavimentazione nell’ambito del I sec. d.C.
La villa in località San Leonardo, tra Pontecagnano e Salerno, che si colloca tra la fine del II sec. a.C. e gli inizi del I sec. d.C., e fu distrutta dall’eruzione vesuviana del 79 d.C., unisce le caratteristiche della villa rustica con quelle della villa d’otium, si sviluppa sfruttando i diversi livelli terrazzati e segue l’orientamento di un importante asse stradale. Nella prima fase, gli ambienti di servizio sono separati da un giardino/ninfeo accessibile da un corridoio, originariamente pavimentato in opus spicatum, prospiciente un muro di terrazzamento, inglobante un acquedotto e scandito da nicchie intonacate in rosso, dotate di sbocchi dell’acqua che alimentavano, a loro volta, anche la vasca del ninfeo, se non anche ambienti termali.
A Salerno sotto la cappella palatina del Palazzo di Arechi a S. Pietro a Corte si è scoperta parte di un edificio termale d’età medio-imperiale (fine del I – inizio del II secolo d. C.) di circa 13 m, di altezza, e 5 m. sottostante il piano stradale attuale, ove l’aula del frigidarium era suddivisa in due ambienti: coperto l’uno da una volta a crociera mentre il secondo contiene una vasca in marmo; altri ambienti con pavimento musivi sono stati rinvenuti sotto l’attuale palazzo Fruscione. Le terme, abbandonate, probabilmente a causa di un’alluvione, nel IV secolo, e successivamente utilizzate come cimitero di culto paleocristiano, furono sostituite, sotto la chiesa del S. Salvatore, da un balneum altomedievale di età longobarda e, tra l’altro, ristrutturate come oratorio nel secolo XII.
Altri complessi termali si sono rinvenuti sulla Costiera amalfitana, appartenenti a sempre a sontuose villae maritimae, a partire da Vietri sul Mare, ove ambienti termali di epoca romana, risalenti probabilmente al I secolo a.C., erano ubicati lungo le sponde del torrente Bonea, in località Bagnara di Marina di Vietri, ricordo degli antichi bagni termali. Rimangono un ambiente circolare con nicchie con due vani di accesso (frigidarium), un altro a pianta rettangolare (tepidarium) ed un terzo (calidarium?) il cui pavimento era sospeso su pilastrini sotto i quali circolava aria calda. Il primo ambiente presenta due vasche: una circolare in marmo ed una rettangolare, posta proprio sotto la parete rocciosa da cui sgorgava una fonte.
A Minori, l’approvvigionamento dell’acqua era garantito nel I sec. d. C. dalla deviazione del corso del vicino fiume Reginna Minor, le cui acque alimentavano un triclinio-ninfeo e l’impianto termale della lussuosa villa disposta su circa tre livelli. In questo, dopo l’apodyterium, lo spogliatoio o sala d’attesa, dotato anch’esso di mosaici e decorazioni in stucco, oggetto di restauro nel III sec d. C., si accedeva al tepidarium (la raffigurazione di un grande vaso con alti manici sopraelevati (kantharos) dal quale fuoriescono elementi vegetali), per il bagno con acqua tiepida, e al calidarium, per il bagno caldo, mentre il frigidarium è rappresentato dalla piscina posta in origine al centro del viridarium; gli ambienti della zona termale sono coperti con volta a botte e volta a tutto sesto.
Se soltanto resti di un ninfeo-triclinio (sala da pranzo decorata con fontane) sono venuti alla luce nella villa di Amalfi e di quella rustica di Tramonti (loc. Pulvica) non sono state scoperte tracce di un impianto termale, ben poco si è potuto recuperare dell’altra villa maritima di Positano (I secolo a.C. – I secolo d.C.), posta a circa 10 metri di profondità, sotto il complesso monumentale della Chiesa di Santa Maria Assunta, forse appartenente a Posides Claudi Caesaris libertus dell’imperatore Claudio; essa si sviluppava su più piani e degradava verso il mare con un sistema di rampe e terrazze. Distrutta e abbandonata in seguito alla famosa eruzione del Vesuvio del 79 d.C., godeva la vista del mare dal triclinium davanti al quale si apriva un ampio porticato, riscontrabile anche nei resti della villa romana del Gallo Lungo.