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La stele greco cipriota

Nel centro storico di Castelcivita (SA) vi è stata l’importante scoperta di una stele, in pietra arenaria, del V sec. a. C. che presenta otto sillabogrammi egei, incisi dai Greco-ciprioti, meglio conosciuti come Enotri. Da un precedente studio unitamente alla scoperta della stele prende vita il lavoro, pubblicato da “Il Saggio” di Eboli (SA), dal titolo “L’Oriente abita l’Occidente. Gli Enotri e i sillabogrammi egei sulle mura di Castelcivita” L’autore conclude la panoramica, iniziata nel precedente articolo del 7 dicembre 2024, dei punti salienti dello studio.

di Giuseppe Figliolia Forziati

* Foto estratta dal sito Il Cilentano

Laureato in Lettere moderne svolge un’opera di sensibilizzazione, recupero e salvaguardia del patrimonio materiale e immateriale di Castelcivita. Ha realizzato diverse pubblicazioni su riviste mensili e depliants.

GLI ENOTRI E I SILLABOGRAMMI EGEI SULLE MURA DI CASTELCIVITA

Ha sempre sollecitato il mio interesse il ritrovamento di circa cinquanta geroglifici e altri segni della scrittura cretese-micenea effettuato da Mario Marincola su alcune pietre del castello di Federico II a Lucera in Daunia, perché io stesso avevo trovato conferma, presso il mio abitato, della presenza di tali scritture cretesi in due frammenti d’argilla, ossia due distinte tavolette inscritte una in lineare A e l’altra in lineare B, primo esempio di scrittura cretese su tavoletta ritrovato in Italia.

La sera del 23 luglio 2024, recandomi a fare la spesa con la mia nipotina Samantha, salendo le scale del vicolo S. Giuseppe Moscati, già Oscuro, guardando sulla sinistra e costeggiando il muro perimetrale del numero civico 3, dopo il pilastro in grandi blocchi lapidei, aggiunto e sovrapposto alla muratura in seguito al terremoto del 1857, sotto la verticale dell’angolo di casa Zonzi, l’occhio immediatamente intravede una pietra arenaria sulla quale sono varie linee graffite che attirano la mia attenzione, perché pensavo fossero dei petroglifi. La pietra ha forma rettangolare, disposta con il lato lungo in orizzontale, misura lunghezza massima 20 cm, altezza massima 13,5 cm, dista dall’originario e antico angolo dell’edificio 70 cm e dal calpestio della strada 86 cm. Avvicinato lo sguardo, noto subito un segno ben preciso e chiaramente visibile, si vedeva una croce latina che aveva, alla base, un triangoletto con la punta verso il basso, il segno era a me noto, ma in quel momento non riuscivo a definirlo, sapevo solo che quella doveva essere un’antica iscrizione e pensai solo a scattare una foto per continuare lo studio di ricerca a casa.

Mi ricordai del volume riguardante le evidenze archeologiche di Velia e, sfogliatolo tutto, ecco che mi apparve il segno, tra i contrassegni alfabetici catalogati dal prof. Luigi Vecchio, nella tavola «7.1 Esemplificazione dei contrassegni alfabetici: monogrammi e sigle (restituzione grafica arch. G. Astore. Scala 1:20)» e corrispondeva al n. 25 e al n. 24: si trattava di una sigla composta da tre lettere dell’alfabeto greco ΔΗΕ con il significato di opera pubblica1. Il dilemma derivava dal fatto che gli altri segni non facevano parte dell’alfabeto greco. La pietra in arenaria, strombata nella parte bassa, presenta sulla facciavista, da sinistra a destra, una riga orizzontale che divide la pietra, perlopiù a metà, il cui tracciato leggermente curveggiante, man mano sale verso l’alto e su di essa sono incisi otto segni di varie dimensioni, che si riducono con l’innalzarsi della riga, ma, in realtà resi quasi speculari e simmetrici, nel senso che il primo e l’ultimo segno sono di piccole dimensioni che aumentano nel procedere verso i segni centrali. Il segno analizzato era il n. 3, ma, fortunatamente il segno n. 6 era anch’esso ben riconoscibile, non potendo dare origine ad equivoci interpretativi, trattandosi di un segno simile alla croce greca, avendo i quattro bracci di uguale lunghezza terminanti con degli elementi circolari, simili ad occhielli che caratterizzano anche le estremità del precedente segno.


Stele di libagione in pietra arenaria, infissa nell’angolo murario del tempio di Giasone, incisa con otto sillabogrammi egei (V sec. a.C.)

Fu allora che mi ricordai della tesi di dottorato di F. Soldani, dimostratasi utile per i sillabogrammi della cinta muraria del Vaglio, e iniziai a leggere e a visionare i numerosi grafemi ed ecco la grande sorpresa: si trattava del geroglifico cretese denominato H070 e rappresentava una corolla di fiore. L’emozione era grande, anche perché mi confermava il ritrovamento dei due frammenti di tavolette in lineare A e B, e il nesso logico che intercorreva tra i manufatti, ma l’incongruenza restava tra i due segni così distanti nel tempo.

Procedetti, così, all’individuazione degli altri segni, supportato anche dall’occhio esperto di mio padre artigiano. Iniziando la lettura, da sinistra verso destra, si evincono i seguenti otto sillabogrammi che, nella tesi del Soldani, spesso sono preceduti dalle lettere dell’alfabeto greco, inserite tra parentesi tonde per indicare le varianti:

  • il primo è un geroglifico cretese, rappresenta la porta, è denominato H038 ed esprime la sillaba ja, trattasi di una porta corredata da due pannelli contornati da una spessa cornice che, nella parte sinistra si allunga oltre la porta, la cui rappresentazione più vicina al segno castelcivitese trovasi sui sigilli rinvenuti a Creta;
  • il secondo grafema fa parte della lineare B, rappresenta l’accetta, è detto B140, esprime le sillabe so/po, il grafema è stilizzato, ma un po’ meno di quello proposto nello studio del Soldani che ha i tratti molto diritti, quello castelcivitese ha l’asta verticale a sinistra, che si allarga alla base per poi procedere, in modo lineare, fino a terminare con l’occhiello, quasi a voler riproporre una forma più fedele al geroglifico, i tre tratti orizzontali, nell’attaccarsi all’asta, si allargano allo stesso modo dell’asta, i due tratti più in basso sono a una maggiore distanza rispetto a quello più in alto, inoltre, il tratto a destra rappresentante la lama è arcuato nel grafema castelcivitese, rispetto alla lineare B;
  • il terzo sillabogramma è quello già menzionato, rappresenta una croce latina non stilizzata che ha le aste terminanti con gli occhielli e alla base ha un triangolo con la punta verso il basso, ha le caratteristiche formali di un geroglifico, ma è assente nel sillabario, perché non si conoscono tutti i segni che lo componevano e, secondo la traduzione che ho prodotto in greco alessandrino e italiano, esso corrisponde al suono sillabico de, cioè alle iniziali della parola ΔΗΜΟΣΙΟΝ, pubblico, come sostenuto dal prof. Vecchio a proposito della sigla ΔΗE, presente sui blocchi della città di Velia;
  • il quarto è pressoché simile al sillabogramma del pettine, presente nelle due lineari, AB03, sillaba pa, ma sulla pietra è rappresentato nella sua originaria forma geroglifica, non presente nel sillabario per le ragioni sopra esposte, reca l’asta verticale non diritta, ma curveggiante e piegata a destra verso l’alto, contraddistinta nella parte bassa da una protuberanza, forse due e nella parte alta ha due tratti orizzontali, di cui il secondo incompleto con le estremità terminanti con gli occhielli2;
  • il quinto segno è uguale al primo, rappresenta la porta con una forma alternativa, (θ) H038, sillaba ja, per la posizione centrale sulla riga, per le grandi dimensioni sembra assomigliare a una colonna, a uno spartiacque ed essendo una porta sembra indicare la fine di una parola e l’inizio dell’altra, anzi il segno reca nella parte alta, a sinistra, un piccolo rettangolo, che potrebbe essere un segno accessorio, un segno di chiusura;
  • il sesto sillabogramma, trattato in precedenza, è un geroglifico cretese, simboleggia una corolla di fiore, catalogato come (β) H070, esprime le sillabe ro/lo, essendo un geroglifico le estremità delle barre terminano con gli occhielli;
  • il settimo sillabogramma rappresenta una testa, (μ) SCC (standard), sillaba ko;
  • l’ottavo sillabogramma è un’altra testa, (β) CM097, propone la sillaba ro.

Al termine della decodifica avevo ottenuto un’iscrizione caratterizzata da sillabogrammi appartenenti a scritture imparentate, in continuità tra di loro, ma usati in periodi diversi, insomma un altro rompicapo, perché, volendo proporre una datazione, il sillabario cipriota classico è attestato dal 1000 al 330 a.C., mentre il geroglifico cretese è usato fino al XVI sec. a.C., quindi non risultava un punto di contatto tra le due scritture, certamente, essendo presente un sillabogramma del sillabario cipriota classico, significava che il documento apparteneva al periodo in cui tale scrittura fu usata, le stesse mura del Vaglio, datate al VI sec. a. C., potevano rappresentare un indicatore, perché la pietra in arenaria su cui è l’iscrizione è posta al di fuori di esse e quindi, ipoteticamente, doveva essere successiva.


Apografo dell’autore riproducente i sillabogrammi egei incisi sulla stele di libazione del tempio di Giasone del V sec. a. C.

Mettendomi a ricercare ulteriori approfondimenti, scopro che la scrittura geroglifica era impiegata negli stati neo-ittiti con l’utilizzo di righe orizzontali tra il IX e il VII sec. a.C.3. Inoltre essendo Cipro un crocevia di popoli, culture e lingue, vi era tra gli abitanti una condivisione di segni, una peculiarità tutta cipriota definita sincretismo ossia plurilinguismo cipriota:

È possibile cogliere quest’insieme di aspetti sia dalla presenza di materiale epigrafico in lingue e scritture diverse proveniente da alcune località dell’isola, sia dalla compresenza di lingue e scritture diverse nello stesso documento, una tipologia di iscrizioni di cui l’isola è singolarmente ricca. Un dato importante, sottolineato anche di recente, è rappresentato dal fatto che i re ciprioti, mano a mano che la loro autonomia si faceva più marcata rispetto alle dominazioni esterne come quella assira e poi quella persiana, hanno assunto il sillabario cipriota e il dialetto locale come bandiere della loro indipendenza e ne hanno fatto un vero e proprio simbolo dell’identità locale […]. Tuttavia, un’analisi dettagliata delle epigrafi riferibili ai diversi basileis ciprioti è in grado di rivelare una notevole varietà di atteggiamenti e di strategie diverse nei confronti delle scelte linguistiche adottate nelle epigrafi ufficiali: come è stato da tempo messo in luce, infatti, accanto ad una costante evoluzione del dialetto cipriota nei secoli dal VI al IV a.C., percepibile soprattutto a livello fonetico e lessicale, alcune dinastie mostrano un singolare attaccamento alla scrittura sillabica e al dialetto; […] Due altre situazioni interessanti legate a regni questa volta collocati al centro dell’isola è rappresentato dai casi di Idalion e di Kition, il primo già presente come regno indipendente nella lista di Esarhaddon, […] in effetti Idalion documenta un uso ricco e variato della scrittura sillabica fino al secondo quarto del V secolo a.C., quando, […] la città perdette la propria indipendenza. […]4.

Quindi l’iscrizione castelcivitese è tipicamente di matrice cipriota, essendo caratterizzata dalla compresenza di lingue e scritture diverse riversate nello stesso documento, una strategia adottata in chiave fortemente identitaria, conseguenza della maggiore indipendenza dei re locali dagli altri popoli dominatori, che raggiunse il vertice proprio tra il VI e IV sec. a.C. e questo «singolare attaccamento alla scrittura sillabica e al dialetto» è documentato nella città di Idalion fino al secondo quarto del V sec. a. C., quando la città perdette la propria autonomia: è proprio questo il periodo da prendere in considerazione per Castelcivita, posto tra la costruzione delle mura del Vaglio, VI sec. a.C., e l’arrivo dei Lucani, tra il 420 e il 410 a. C.: l’iscrizione, pertanto, è databile alla prima metà del V sec. a.C. Nel leggere l’iscrizione mi sono accorto che i sillabogrammi sono disposti a coppie di due, in base alla loro posizione sul rigo o alla loro dimensione e, dalla decodifica dei sillabogrammi sopra presentati, risulta questa successione di sillabe: ja-so/ de-pa /ja-lo /ko-ro. Si tratta di una formula di invocazione e di libagione rivolta a Giasone, capo degli Argonauti nella spedizione per la ricerca del vello d’oro, che sbarcò presso la spiaggia di Paestum e lì, alla foce del fiume Sele, fondò il santuario dedicato a Hera, posto proprio al di fuori delle mura della città. La traduzione in greco è «(ὦ) Ἰάσον, δεπα ιαλω κορω» e significa «O Giasone, le coppe getterò da puro». Quindi si tratta di una stele con formula di libagione, che indicava il luogo in cui offrire sacrifici, si trova lì dove fu collocata dai Greci ciprioti e, nonostante i tanti secoli trascorsi, il paramento murario si è salvato in altezza e lunghezza proprio fino alla stele in arenaria, dopo di che il muro è stato ricostruito: si tratta solo dell’angolo di un tempio che, poiché solido e nascosto, è stato, per nostra fortuna, preservato dagli interventi dell’uomo e del tempo. Tutto ciò testimonia una storia del Mediterraneo e delle zone interne dell’Italia ben diversa da ciò che è stato sempre scritto. Castelcivita dà la possibilità, a chi la guarda sempre con occhi nuovi, di poter vivere il piacere della scoperta e partecipare alla grande storia, senza allontanarsi da essa.

Referenze bibliografiche

1 Cfr. L. VECCHIO, I contrassegni alfabetici sui blocchi, cit., pp. 136 e 139.

2 Cfr. F. SOLDANI, Interconnessione grafica tra i vari sillabari egei e loro leggibilità, cit., pp. 104 e 168.

3 Cfr. <https://mnamon.sns.it/index.php?page=Scrittura&id=46>

4 Aa. Vv., Lingue e scritture nell’Egeo pregreco, cit., pp. 70, 71 e 72

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