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Gli anni di piombo e il carcere duro

Terzo appuntamento per l’edizione speciale de “il Ronzìo” sul più oscuro periodo della Repubblica Italiana.

Alfredo Cospito, accusato di due attentati, è stato il primo anarchico a finire al 41-bis. Per alcuni mesi si è sottoposto allo sciopero della fame ed ha fatto preoccupare non poco l’opinione pubblica, per le sue condizioni di salute. L’interesse creato nell’opinione pubblica dalla sua storia ci permette, però, di fare chiarezza su alcuni termini giuridici quali il 41-bis e l’ergastolo ostativo per non citare i numeri delle varie leggi degli ultimi anni.

di Antonio D’Argenio

* Copertina di Pugni e pistole, 11° numero di Cani sciolti, a cura di Gianfranco Manfredi e Sergio Gerasi

Laureato in Scienze Politiche, è docente di Diritto ed Economia, educatore Finanziario,  studioso di storia locale.

Nel precedente articolo … La strategia della tensione e la Commissione d’Inchiesta

DALLA LEGGE REALE AL 41-BIS PASSANDO DALLA LEGGE GOZZINI

È conosciuto come carcere duro, ma nell’ordinamento penitenziario prende il nome di articolo 41-bis e da oltre trent’anni è uno degli strumenti più utilizzati per contrastare la criminalità organizzata. Cosa diversa, invece, è l’ergastolo ostativo, cioè un particolare tipo di regime penitenziario previsto dall’art. 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario, che esclude dall’applicabilità dei benefici penitenziari (liberazione condizionale, lavoro all’esterno, permessi premio, semilibertà) gli autori di reati particolarmente riprovevoli quali i delitti di criminalità organizzata, terrorismo, eversione, nel caso in cui il soggetto condannato non collabori con la giustizia.

La Corte di Cassazione con una sentenza del 2014 ha manifestato dubbi circa la possibilità che l’ergastolo ostativo possa configurare un’autonoma tipologia di pena, identificando in pratica due categorie di ergastolo: l’ergastolo comune e l’ergastolo ostativo, che si differenziano proprio per il regime di esecuzione della sanzione. Tali concetti, spesso, hanno creato non poca confusione se anche la premier Meloni in alcune dichiarazioni a Palermo, in occasione dell’arresto di Messina Denaro, li ha confusi. Soffermandoci, dunque, su cosa sia e in cosa consiste il 41-bis conviene partire da quando e perché è stato introdotto nel nostro ordinamento penitenziario, sperando, così, di fare maggiore chiarezza!

Vincent Van Gogh, La ronda dei prigionieri.

41-bis è l’articolo della legge sulle norme dell’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà. La legge è la 354/1975. In realtà il 41-bis è stato aggiunto dal primo comma dell’articolo 10 della legge 663/1986, detta anche legge Gozzini dal suo promotore Mario, senatore della Repubblica. Le finalità della norma erano quelle di valorizzare l’aspetto rieducativo rispetto a quello punitivo della carcerazione. Il provvedimento più importante è, però, sicuramente quello riguardante l’introduzione del carcere duro.

Provvedimenti per la tutela dell’ordine pubblico lo Stato Italiano ne ha creati vari. Per poter consentire alle forze dell’ordine di prevenire più efficacemente le manifestazioni violente realizzatesi nel periodo storico identificato in Italia tra la fine degli anni 1960 e gli inizi degli anni 1980. Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno e riportati dalla stampa, nel periodo tra il primo gennaio 1969 e il 31 dicembre 1987 si sono avuti in Italia 14.591 atti di violenza politicamente motivati contro persone o cose. In questo computo sono compresi atti molto diversi tra loro, che vanno dall’aggressione squadristica all’omicidio, dall’attentato con bottiglia incendiaria a quello con esplosivo. Nei cinque anni di maggior violenza del fenomeno terroristico (dal 1976 al 1980) si sono avuti complessivamente 9.673 atti di violenza, con una media di oltre cinque episodi al giorno.

Altri dati ci dicono che, tra il 1969 al 1982, la violenza politica e il terrorismo fecero 1.100 feriti e 350 morti. L’Italia era in un momento di grandi cambiamenti. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta aveva infatti cambiato pelle. Gli effetti del boom economico avevano aiutato il Paese a lasciarsi alle spalle gli anni di miseria del dopoguerra. Ma il benessere inaspettato non fu da tutti vissuto allo stesso modo.

La nascita di un moderno sistema industriale, soprattutto nell’area tra Milano, Torino e Genova, mise a dura prova una società modellata ancora sui tempi dell’economia primaria. Iniziò uno spopolamento dei piccoli centri a vantaggio delle grandi città, che in breve si trasformò in un’emigrazione di massa: fino al 1970, 9 milioni di italiani si spostarono da una regione all’altra, in particolare dal Sud al Nord. Già nel 1965 la crescita economica aveva rallentato ed erano aumentati i casi di sottoccupazione, precariato, sfruttamento. I salari degli operai erano rimasti bassi, i servizi dello Stato insufficienti, il sistema scolastico inadeguato e i modelli culturali arretrati.

Maupal, street artist. Organizza dal 2011 workshop con detenuti nelle carceri italiane.

Così, alla fine del decennio, l’Italia fu scossa da due ondate di radicale contestazione: la prima, nel 1968, animata dal Movimento studentesco che chiedeva più giustizia sociale e meno autoritarismo; la seconda, nel 1969, innescata dalle rivendicazioni degli operai (il cosiddetto autunno caldo). Manifestazioni, scioperi, occupazioni di fabbriche erano all’ordine del giorno. Si avviò, in questo modo, un conflitto sociale di vaste dimensioni. Nacquero aspettative rivoluzionarie in molti studenti e operai che avrebbero voluto superare il capitalismo. I governi e gli organi dello Stato diventarono sempre più reazionari pur di fermare questo sommovimento sociale.

La cosiddetta legge Reale, cioè la numero 152 del 22 maggio 1975, che ha come titolo Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico e che deve il nome con cui è ricordata al suo principale promotore, segretario del partito repubblicano del periodo, fu una risposta dello Stato.

Tra il novembre del 1974 e il febbraio del 1976, Oronzo Reale, ministro di Grazia e Giustizia nel quarto governo presieduto da Aldo Moro, in questo periodo promosse ed ottenne l’approvazione di una legge tesa a riformare parte del processo penale ed ebbe anche notevoli ripercussioni in materia di ordine pubblico. La legge di fatto sanciva il diritto delle forze dell’ordine a utilizzare armi da fuoco quando strettamente necessario anche per mantenere l’ordine pubblico.

Il testo normativo introdusse un duro inasprimento della legislazione penale, allo scopo di contrastare e combattere i fenomeni di terrorismo italiano che misero a dura prova l’ordinamento democratico del paese durante gli anni di piombo. Il ricorso alla custodia preventiva – misura prevista in caso di pericolo di fuga, possibile reiterazione del reato o turbamento delle indagini – veniva esteso anche in assenza di flagranza di reato.

C’era quindi la possibilità di effettuare un fermo preventivo di quattro giorni, entro i quali il giudice doveva poi decretare una convalida da parte dell’autorità giudiziaria. Veniva ribadito, infine, che non si potevano utilizzare caschi o altri elementi che rendessero non riconoscibili i cittadini, salvo specifiche eccezioni. Modificata nel 1977 dalla legge 533, fu contestata da molti, in quanto la ritenevano eccessiva. Negli anni successivi la legge Reale subì alcune modifiche che, in parte, ne ridussero gli effetti anche perché il nuovo regime nasceva per essere applicato in situazioni di emergenza, in particolare in casi eccezionali di rivolta per la necessità di ripristinare l’ordine e la sicurezza.

Un comma dello stesso articolo prevedeva che i detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione dovevano essere ristretti all’interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari, ovvero comunque all’interno di sezioni speciali e logisticamente separate dal resto dell’istituto e custoditi da reparti specializzati della polizia penitenziaria. L’idea alla base della legge in questione era quella di impedire i collegamenti con le organizzazioni criminali di cui faceva parte il detenuto per cui quest’ultimo doveva, quindi, essere il più isolato possibile dagli altri reclusi. Ma non solo: anche con l’esterno i contatti erano limitati. Le visite erano quindi ridotte a una al mese, della durata di un’ora, in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti ed erano previste solo per familiari e conviventi salvo casi eccezionali. I colloqui erano ascoltati e registrati, così come l’unica telefonata al mese a disposizione (prevista solo per chi non usufruiva delle visite). L’unica eccezione riguardava le visite o le telefonate dell’avvocato difensore, che potevano essere fino a tre alla settimana, sempre della durata massima di un’ora a differenza dei detenuti comuni che avevano, invece, diritto a sei visite al mese.

Inoltre, i detenuti al 41-bis non potevano ricevere quasi nessuna somma di denaro, bene o oggetto dall’esterno. E non potevano avere una corrispondenza, salvo quella con i membri del Parlamento o con autorità europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia. Nel caso Cospito, le lettere inviate dal carcere e pubblicate in alcune riviste anarchiche sono state uno dei motivi alla base della decisione dei giudici di imporre il regime del 41-bis. I detenuti al carcere duro potevano stare all’aperto per una durata non superiore a due ore al giorno e la cosiddetta ora d’aria non poteva svolgersi in gruppi superiori a quattro persone. Andava infine assicurata la assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, scambiare oggetti e cuocere cibi.

Zehra Doğan, Özdinamik, carcere di Diyarbakir, penna a sfera, caffè, curcuma, succo di prezzemolo su giornale. Foto di Jef Rabillon

La stessa legge prevedeva che il regime del carcere duro non poteva avere durata superiore a quattro anni ma poteva essere prorogata per periodi successivi pari ogni volta a due anni quando risultava che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o eversiva non era venuta meno.

Secondo alcuni, gli effetti della legge Reale e il quadro di fatto che determinò nel Paese, furono le tante morti più o meno oscure di quegli anni. In un clima di crescente instabilità, alcune parti della stessa furono sottoposte a referendum nel 1978 ma il 76,5% dei votanti le salvarono. Continuarono, allora, a susseguirsi rapimenti e morti fra  civili, magistrati e forze dell’ordine. I governi che si alternarono, proseguirono con altre riforme volte a introdurre nuove disposizioni a tutela dell’ordine pubblico, decreti anti-terrorismo, misure speciali ed emergenziali e riforme processuali.

Da uno studio effettuato dal Centro di Iniziativa Luca Rossi, uno studente di 20 anni che la sera del 23 febbraio 1987 a Milano fu colpito a morte mentre, per caso, si trovava a passare nelle vicinanze di una rissa da un agente di polizia, nel periodo sopra menzionato gli effetti della legge hanno provocato 254 morti e 371 feriti. I caratteri illiberali della misura del carcere duro sono stati però attenuati, negli ultimi anni, dalla Corte Costituzionale che, tra il 1993 e il 2002, è stata più volte chiamata a pronunciarsi sulla sua legittimità sotto svariati profili. Attraverso le sue pronunce la Corte – che non ha mai censurato la legittimità del 41-bis, riconoscendone l’utilità nel contrasto al fenomeno mafioso – si è impegnata in un’opera di profonda ricostruzione della disciplina, fissando dei paletti di costituzionalità, entro i quali l’Amministrazione penitenziaria si è poi mossa nel dare applicazione all’istituto.

Occorre dire, infine, che attualmente il 41-bis si applica, nella prassi, quasi esclusivamente agli autori di reati di stampo mafioso, nonostante che l’elenco dei delitti contenuto nell’art. 4-bis sia decisamente nutrito. Ecco un altro motivo eccezionale del caso Cospito.

Nel successivo articiolo … La voragine di Piazza Fontana

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